La voce di New York
Reclining Nude with Drapery, Back View Gustav Klimt (Austrian, Baumgarten 1862–1918 Vienna) (credits: metmuseum.org)
Klimt, Schiele e Picasso al Met Breuer; la scultura, dall’Antica Grecia priva (oppure no?) di colore…; le opere del pittore italiano Pino Lavecchia: assoluta protagonista delle mostre della stagione estiva a Manhattan è la figura umana e il nudo. Le varie esibizioni ne descrivono il ruolo nella storia e nell’arte. Forse per solidarietà con i miseri abitanti, su cui si è in questo periodo abbattuto il caldo più feroce da quando le statistiche meteorologiche vengono compilate, primeggiano a Manhattan mostre che hanno per soggetto il nudo umano e il suo posto nella storia e nell’arte. Il Metropolitan Museum ne ha allestito non una, ma due nella sua magnifica dépendance che ha ormai preso il nome di Breuer, l’architetto che la costruì una quarantina di anni fa sulla Madison Avenue. Dal titolo della prima di queste due mostre, che si è appena inaugurata, si capisce già molto: “Obsession: Nudes by Klimt, Schiele and Picasso from the Scofield Thayer Collection”.
I disegni e qualche tela esposti in questa mostra provengono da una raccolta costituita circa un secolo fa da un lungimirante giornalista anglo-americano, Scofield Thayer, che aveva voluto lasciarla in eredità al Met quando questo museo limitava ancora rigidamente le sue esposizioni all’arte classica. Ma se con la sua libertà e franchezza il Met dà oggi, con questa esposizione, del resto non limitata affatto all’erotismo ma estesa a tutte le “ossessioni” e magari a nessuna, una dimostrazione perfettamente anti-dogmatica del significato di modernità accettato dai suoi conservatori, ancora più profonda – e, se è possibile dire, ancora più nuda è l’investigazione di questo soggetto in un’altra mostra che sta per chiudersi tra pochi giorni, intitolata: “Life like, Sculpture, Color and the Body (1300 – now)”. Questa mostra parte dal presupposto che la scultura classica abbia accettato, nell’antico Vicino Oriente e segnatamente in Grecia, la rappresentazione del nudo totale solo in quanto accompagnata da un’assenza di colore che simboleggiava, in qualche modo, una purezza totale e dunque la divinità. Ma perché “Ossessione”? Beh, per chi conosca, dato che ne esistono centinaia, i disegni erotici di Egon Schiele, nonché quelli di Klimt che ne furono l’ispirazione, può ben capire come in epoca ancora vittoriana quale il superficialmente compassato giro del secolo scorso queste profonde, bollenti, incontenibili espressioni della sensualità e sensibilità umane abbiano causato uno scossone esplosivo sufficiente per far finire temporaneamente in carcere il loro inventore più disinibito, Schiele. Non parliamo di Picasso che, del tutto separatamente, iniziava allora quelle indagini sulla carne umana che, non meno di quelle di Freud e Jung sullo spirito, avrebbero concorso in sempre maggiore libertà alla definizione della identità e moralità di homo sapiens. Anche lì grazie all’attrito più stridente con l’oscurantismo sociale ancora dominante. Basti dire che tra le opere esposte ce n’è una di Picasso, il quale per tutta la vita si rifiutò di riconoscerla come propria, mentre è indubbiamente il frutto delle sue prime esperienze sessuali. Rappresenta un giovinetto ben vestito che una prostituta nuda sta portando all’orgasmo per stimolazione orale.
Egon Schiele (Austrian, Tulln 1890–1918 Vienna), credits: metmuseum.org
Hercules Attributed to Willem Danielsz van Tetrode (Netherlandish, Delft ca. 1525–1580 Westphalia) Photo: Maggie Nimkin, New York
I disegni e qualche tela esposti in questa mostra provengono da una raccolta costituita circa un secolo fa da un lungimirante giornalista anglo-americano, Scofield Thayer, che aveva voluto lasciarla in eredità al Met quando questo museo limitava ancora rigidamente le sue esposizioni all’arte classica. Ma se con la sua libertà e franchezza il Met dà oggi, con questa esposizione, del resto non limitata affatto all’erotismo ma estesa a tutte le “ossessioni” e magari a nessuna, una dimostrazione perfettamente anti-dogmatica del significato di modernità accettato dai suoi conservatori, ancora più profonda – e, se è possibile dire, ancora più nuda è l’investigazione di questo soggetto in un’altra mostra che sta per chiudersi tra pochi giorni, intitolata: “Life like, Sculpture, Color and the Body (1300 – now)”. Questa mostra parte dal presupposto che la scultura classica abbia accettato, nell’antico Vicino Oriente e segnatamente in Grecia, la rappresentazione del nudo totale solo in quanto accompagnata da un’assenza di colore che simboleggiava, in qualche modo, una purezza totale e dunque la divinità. Questo presupposto è stato tuttavia messo in questione in una crescente varietà di modi a partire dalla ribellione umanistica pre-rinascimentale, con una accettazione cosciente o incosciente del nudo e l’impiego di materiali del tutto diversi dal marmo, stabilendo una sorta di contesa tra la pelle umana, l’imitazione dell’elemento vitale, il colore, il modello rappresentato e la realtà. Stranamente, i curatori della mostra mancano di sottolineare che anche nei tempi classici il marmo veniva colorato, come indicato dai residui anche minimi di pittura che ne vengono molto spesso recuperati. Quanto al confronto tra colore della pelle umana e “media” per la sua rappresentazione, l’interpretazione conflittuale datane dalla mostra appare piuttosto pretestuosa. Tuttavia anche i pretesti diventano accettabili quando permettono la conoscenza di storie individuali interessanti e nuove come quelle offerte da questa mostra. Ne citerò tre. Assolutamente meraviglioso è il busto di Niccolò da Uzzano, uomo politico della Firenze neo-rinascimentale, creato in terracotta colorata da Donatello (1386-1466) e imprestato per questa mostra al Metropolitan dal Museo del Bargello. Sorprendente è la sorridente salma, accuratamente conservata, del celebre filosofo utilitarista londinese Jeremy Bentham, morto nel primo Ottocento, il quale aveva lasciato il proprio corpo per uso nell’indagine scientifica (un uso finale effettivamente utilitarista che io approvo totalmente e che adopreremo io stesso e la mia famiglia). Lo scheletro, rimpolpato qua e là e vestito à la mode, è rimasto al suo posto mentre un tentativo di conservare la testa è fallito e si è ricorsi a una copia in cera prodotta da un professionista. Infine la mostra, che dedica ai cadaveri un’ intera sala, si chiude con l’esibizione, in un feretro spalancato, di una duplicazione in cera del corpo di Jack Kennedy, dell’artista padovano Maurizio Cattelan. Leggermente sorridente, perfettamente rivestito in un abito impiegatizio, il corpo sembra rimettere in questione non solo l’arte del nudo, ma il mistero di una morte che ancora pesa su tutti noi. Per stretta affinità di soggetto informo che è anche in preparazione, alla Galleria Agora di Chelsea (bassa Manhattan) una mostra del pittore italiano Pino Lavecchia, che rappresenta nudi classici o frammenti degli stessi, in stile rinascimentale e in giustapposizione con luoghi moderni o con detriti della vita moderna, intesi, dice l’artista, “come metodo per esplicitare un dialogo tra passato e futuro”. Se si tratta di sfuggire al caldo, tuttavia, ho paura che il futuro sarà ancora meno clemente dell’oggi verso di noi.
Mostra “Obsession” al Met-Breuer: 3 luglio-7 ottobre.
“Like Life” idem, chiude il 22 luglio.
Lavecchia alla Gall. Agora: 12-27 luglio.
Agora Gallery
Galleria Agorà di Chelsea (bassa Manhattan) una mostra del pittore italiano Pino Lavecchia, che rappresenta nudi classici o frammenti degli stessi, in stile rinascimentale e in giustapposizione con luoghi moderni o con detriti della vita moderna, intesi, dice l’ artista, “ come metodo per esplicitare un dialogo tra passato e futuro ” .